Venerdì 25 maggio alle 17 sarà invece la Chiesa della Croce (gentilmente concessa dalla Fondazione Cassamarca) ad ospitare una serie di amici del Maestro che gli renderanno omaggio con parole e musica, ricordi e suoni. Parteciperanno il prof. Marzio Favero, Assessore alla Cultura della Provincia di Treviso, il prof. Gianfranco Ferrara, musicologo, il prof. Paolo Troncon, Direttore del Conservatorio di Musica di Vicenza “A. Pedrollo” e il M° Gastone Zotto, Presidente A.S.A.C. Regione Veneto; gli incontri saranno coordinati dal prof. Giuliano Simionato, musicologo e Presidente dell’Ateneo di Treviso.
La musica di Bruno Pasut sarà proposta dal duo Bignami-Pasut, dalla pianista Anna Martignon e dall’ensemble vocale “Rodigium” diretto da Roberto Spremulli.
Marina Grasso
(9 maggio 2007)
Omaggio al Maestro Bruno Pasut
di Giuliano Simionato
Ad un anno dalla scomparsa, la Famiglia e l’Ateneo di Treviso propongono, col patrocinio ufficiale delle istituzioni e con l’affettuosa adesione di amici, estimatori ed allievi, il ricordo del maestro Bruno Pasut, insigne musicista, didatta, animatore di cultura musicale.
Artista versatile, docente autorevole, organizzatore efficace, ma anche esempio di umanità: marito e padre affettuoso (come ricordano le figlie Laura, Gabriella, Paola, Bruna e Patrizia), fedele all’amicizia ed alla sua terra.
Tornava sempre volentieri al paese natale, Spresiano, e alla sua Treviso, dove iniziò la carriera, visse con la famiglia, profuse molte energie e chiuse l’operosa esistenza. Onorò il nome della città in prestigiose sedi italiane ed estere, e Treviso, come già volle essergli vicina per i suoi ottant’anni, si raccoglie oggi a rendergli omaggio sentendolo ancora accanto, perché l’unico ponte fra il paese di chi passa e quello di chi resta è l’amore…
Ad affiorare per primi in questa mia, comprensibilmente breve, rievocazione, sono i tratti di cordialità e signorilità che lo distinguevano. Bruno Pasut esigeva sincerità di sentimenti (e chi l’ha conosciuto ne converrà facilmente) che sapeva ricambiare profondamente. Io stesso, attraverso una frequentazione divenuta presto familiarità, e attraverso quasi paterno ricevuto nella presidenza dell’Ateneo, posso attestarlo…
Egli amava pensarsi dentro un disegno provvidenziale che, a fronte di tante difficoltà, gli era stato consentito realizzare: dedicarsi alla musica per sostanziarvi il suo ideale, la sua probità, la sua devozione. In questo, fu uomo libero, e insieme determinato; vivere la musica, per lui, era seguire la sua vocazione, la sua natura più intima e vera, adottare un atteggiamento di rettitudine, di coerenza con sé stesso e di correttezza verso il prossimo. La intese pertanto come disciplina interiore e come tramite di superiore conoscenza: l’esperienza e la saggezza lo inducevano a comprendere e a sostenere quanti percorrevano lo stesso arduo cammino, e a credere specialmente nei giovani. Musicista di soda formazione e cultura, spirito aperto e lungimirante, rivelò grandi doti didattiche e capacità organizzative. Non si contano gli allievi (alcuni dei quali giunti a mete prestigiose) formatisi alla sua scuola, giustamente esigente nell’applicazione, nei programmi, nella gestione.
Bruno Pasut attraversò il Novecento musicale da protagonista. Assai giovane, si mise in luce come organista (inaugurerà diversi strumenti, avvincendo per perizia e bravura, specie nell’improvvisazione) in Duomo e in altre chiese cittadine, e come esecutore nel Trio da camera creato dal prof. Menenio Bortolozzi, che fu all’origine dell’Orchestra d’Archi Trevigiana da lui diretta, della quale – giovane violinista – avrebbe fatto parte anche Vittorina Salmasi, divenuta poi la compagna della sua vita. Si esibì inoltre con valenti strumentisti d’arco e cantanti, mentre già prima della guerra s’era distinto come compositore in concorsi nazionali, ed il diploma di direttore d’orchestra lodevolmente conseguito al Conservatorio “S. Cecilia” di Roma gli era valso una borsa di studio (purtroppo vanificata dallo scoppio del conflitto) per uno stage in Germania coi Berliner Philarmoniler di Willhelm Fürtwaengler: sarebbe stato, probabilmente, il “colpo d’ala” di una carriera già preconizzata di prim’ordine, riuscita comunque assai onorevole.
Carriera della quale non si risparmiò, intessendovi l’invidiabile professionalità e competenza (spaziante dal campo lirico a quello corale e strumentale), e coniugando sapientemente le peculiarità del magistero con quelle dell’arte. Iniziò a Rovigo negli anni Quaranta, direttore e docente del Liceo Musicale “Francesco Venezze”, passando nel 1945 a Treviso, a dirigervi il Liceo Musicale “Francesco Manzato”, non senza aver intrapreso la collaborazione col mondo del teatro (Rovigo, Venezia, Torino) come maestro sostituto, maestro del coro e organista.
Nel 1946, approvato a pieni voti da Ildebrando Pizzetti, vinceva il concorso a Direttore della Pontificia Cappella Musicale Antoniana di Padova: incarico prestigioso già occupato nel Settecento da padre Antonio Vallotti (con a fianco, capo dell’orchestra, Giuseppe Tartini), e più tardi da Giovanni Tebaldini e Oreste Ravanello. E seppe riportare il complesso degli antichi fasti, restandone alla guida per oltre un ventennio.
Negli anni Cinquanta iniziò la docenza di ruolo nei Conservatori di Stato, protratta in varie sedi, con cattedre tenute anche in contemporanea, come quelle di Bologna e Torino. In quest’ultima città, mentre dirigeva la Scuola Corale del Teatro Regio, diede vita a “I Polifonisti Torinesi”, che s’imposero nel 1956 al concorso internazionale di Arezzo. Continuò a guidare il sodalizio sino al 1969, in parallelo con la direzione del “Cenacolo Polifonico Patavino”, istituito nel 1957 e più tardi trasformatosi in “Ottetto Polifonico Patavino”: complessi che rinvigorirono in Italia e all’estero, dopo tempi poco attenti verso il genere, l’interesse per il repertorio vocale italiano dall’epoca rinascimentale a quella contemporanea.
Ma accanto a quelle di Torino e di Padova, mete più cospicue della sua frequentazione, vanno annoverate le esperienze di Pesaro, Vicenza (dove diresse l’Istituto Musicale “Francesco Canneti” e Venezia, nel cui Conservatorio insegnò per un decennio. Come commissario ministeriale per gli esami di Stato, o come ispettore per le istanze di riconoscimento, Pasut visitò inoltre vari istituti musicali d’Italia, redigendo relazioni sull’attività didattica e sugli aspetti tecnico-critici riscontrati, e tal incombenze, oltre che scrupoloso nelle mansioni, ce lo presentano (non per nulla figlio di un ferroviere) viaggiatore puntuale e indefesso: un viaggiatore, com’egli amava definirsi, “in note e di notte”…
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, sulla scia dell’abbandono post-conciliare della tradizione classica, la Pontificia Cappella Antoniana fu tristemente sciolta, e Treviso mancò l’opportunità di divenir sede di Conservatorio (istituito peraltro a Castelfranco Veneto), perdendo l’occasione per imprimere un salto di qualità al glorioso “Manzato”, nel quale Bruno Pasut era entrato allievo all’epoca del direttore Giulio Tirindelli, operandovi poi come docente e direttore per quasi un trentennio e facendone, assieme ad altri benemeriti insegnanti (Giuseppe Mariutto, Luigi Pavan, Giuseppe Sama, Antonio Carmignola, Angelo Ephrikian, Aldo Voltolin, Domenico Visentin) e presidenti (Menenio Bortolozzi, Leonida Dal Negro) una scuola di riconosciuto valore. Furono anni confusi ed ingrati, benché – quasi a risarcimento morale – Pasut venisse chiamato ad organizzare il nuovo Conservatorio di Adria, che resse dal 1974 al 1980, passando quindi a dirigere quello di Castelfranco. Neppure il pensionamento smorzò la sua operosità, rimasta generosa e apprezzabile sin quasi alla fine. Nell’ultimo ventennio si accostò infatti con entusiasmo al mondo della coralità rappresentato dall’A.S.A.C. Veneto, tanto da assumerne (dopo la scomparsa del maestro Efrem Casagrande, di cui raccolse e proseguì il lavoro) la presidenza per ben tre mandati, dal 1991 al 1997: vi fu consigliere e giurato autorevole, sostenitore convinto di qualificati eventi.
Bruno Pasut ha ben meritato con gli scritti e coi riordini delle biblioteche degli istituti da lui diretti, anche sul versante culturale e documentale; è stato socio onorario dell’Ateneo di Treviso e vi ha illustrato personaggi, istituzioni e vicende con saggi preziosi per la documentazione della vita musicale, specialmente trevigiana, del Novecento.
Oltre che in quelli cittadini, la sua eredità resta inscritta a chiare lettere negli annali diocesani. Già organista – come ricordato – della Cattedrale, fu a lungo membro della Commissione d’esame per i progetti d’organo, promotore e presidente del Comitato “Pro Organo” del duomo, organizzatore dei “Concerti d’Organo” nei quali, lungo gli anni Settanta, chiamò ad alternarsi celebri interpreti e giovani promesse, secondo un’intuizione precorritrice della valorizzazione del nostro patrimonio strumentale. Come docente, ancora, nella Scuola Diocesana di Musica Sacra diretta da mons. Giovanni d’Alessi (dov’ebbe predecessore Ireneo Fuser e successore Giuseppe De Donà), formò tanti giovani preposti degnamente alla tastiera dello strumento liturgico e, per questa dedizione alla causa ceciliana ebbe l’apprezzamento della Santa Sede e dei nostri vescovi.
Quest’ultimo accenno, oltre a farci comprendere come ritenesse la musica strumento di lode e di preghiera al Creatore (buona parte delle sue composizioni, del resto, è di carattere sacro), c’introduce all’ascolto del Requiem tedesco op. 45 di Johannes Brahms, uno dei primi grandi manifesti della sua arte, un capolavoro al quale sarà dolce abbandonarci, specie per il suo messaggio di speranza nel Cristo morto e risorto, col quale risorgeremo dopo le prove che anche il maestro Pasut ha saputo riscattare nella fede.
Sino all’ultimo la musica gli fu di conforto, e avrebbe voluto fissare sulla carta l’idea di una Messa. Forse gli sarà affiorato il ricordo di quando, fra le lacrime, eseguì nei funerali del padre anzitempo scomparso il suo mottetto In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum…, lo stesso che risuonò nelle esequie della sua diletta Vittorina.
Ci piace ricordarlo così, sulla soglia dell’estremo commiato, rischiarato dalla luce in cui amiamo crederlo.
Questi pensieri hanno ispirato all’amico Luigi Pianca una toccante Via Crucis in sua memoria, di cui, a preludio dell’esecuzione, verrà letta l’invocazione finale.
Sublimiamo dunque nella poesia e nella musica il nostro omaggio a Bruno Pasut, la cui anima stasera ci è certamente vicina.
Giuliano Simionato
Presidente dell’Ateneo di Treviso
(Treviso, 18 maggio 2007)
La Chiesa trevigiana al Maestro Bruno Pasut
La Chiesa trevigiana si associa grata all’omaggio al maestro Bruno Pasut, chiara figura d’uomo e d’artista, degna della più ampia riconoscenza: Innanzi tutto per aver inteso la musica come strumento di preghiera e di lode a Dio (non a caso, buona parte delle sue composizioni è incentrata sulla musica sacra), e particolarmente per la generosa dedizione e la riconosciuta perizia lungamente professate nel renderla espressione viva e autentica della liturgia, tramite privilegiato di elevazione spirituale della comunità.
Organista della nostra Cattedrale, docente nella Scuola Ceciliana Diocesana accanto a mons. Giovanni d’Alessi, sostenitore della coralità nelle forme più belle dell’arte (specialmente nel prestigioso incarico di Direttore della Pontificia Cappella Antoniana di Padova), promotore di importanti eventi, ha onorato per un buon tratto del Novecento la Diocesi di San Liberale e la Chiesa stessa.
Ha trasfuso il suo magistero in tanti organisti e direttori di coro che hanno esplicato e tuttora esplicano con zelo e spirito di dedizione un prezioso servizio nelle nostre chiese. Il suo contributo resta iscritto a chiare lettere nella storia della Scuola Ceciliana, che – oggi Istituto Diocesano di Musica – prosegue, aggiornato nel metodo, ma rispettoso delle tradizioni, il suo compito formativo.
Anche perciò il ricordo del maestro Pasut porta con sé quello di tutti gli allievi e maestri passati dalla liturgia della terra al giubilo di quella del cielo, a confidare che il suo e il loro esempio stimolino i giovani a lavorare per il decoro del culto divino, a coltivare il gusto artistico nell’assemblea e a farla, come auspica il Concilio Vaticano II attualizzando il pensiero del nostro S. Pio X, il Papa riformatore della musica sacra, sempre più partecipe della sacre funzioni.
(Treviso, 18 maggio 2007)
Ricordo del Maestro Bruno Pasut
di Gianfranco Ferrara
Il mio breve intervento riguarda, cercando di ripescare nella
memoria, il rapporto che ho avuto col maestro Pasut fin dai primi
contatti nel lontano 1939-40. Un rapporto inizialmente di soggezione:
allora facevo parte come soprano del coro del Duomo diretto da Mons.
D'Alessi, coro che comprendeva anche molti elementi del seminario. Si
eseguiva molta polifonia rinascimentale, soprattutto di musicisti
veneti come Andrea e Giovanni Gabrieli, spesso frutto delle ricerche
di D'Alessi, e di musicisti che erano stati maestri di cappella del
Duomo, come Nasco, Clinio. Così studente di pianoforte scoprivo la
polifonia vocale. Naturalmente si eseguivano anche composizioni che
richiedevano l'intervento dell'organo; fu allora che incontrai il
maestro Pasut. Ero attratto dal vederlo alla consolle del grande
Tamburini dominare lo strumento passando da una all'altra delle tre
tastiere e muoversi con disinvoltura alla pedaliera. Amavo fare il
voltapagine che mi permetteva di seguire i percorsi delle voci e la
parte dell'organo. Ricordo una messa di Sante Zanon, il Te Deum del
Perosi e soprattutto nelle Messe Pontificali l'Ecce Sacerdos di Ireneo Fuser, musicista trevigiano, composizione che con una lunga
introduzione per organo solo nella quale risuonava tutta la potenza
sonora dell'organo sulla quale spiccava la tuba mirabilis,
accompagnava il vescovo dalla porta centrale all'altare. Ricordo
ancora, io studiavo pianoforte, un'esecuzione del Preludio e fuga di
Bach in la maggiore, la finezza con cui Pasut delineava gli arpeggi
del Preludio, quasi degli arabeschi; e poi la severità dei
contrappunti della Fuga, l'evidenza del fraseggio nelle entrate del
Soggetto e della Risposta. Ricordo l'esecuzione di una Pastorale di
Cesare Nordio, musicista triestino della prima metà del 900, in cui
Pasut rivelava uno squisito gusto coloristico, come arpeggi
orchestrali ottenuti unendo una Controgamba di 16 piedi ad un
Flautino di 2. E poi le improvvisazioni nei vari stili, dalla
polifonia imitata a espressioni di carattere sinfonico a cui
soprattutto induceva la tavolozza sonora del Tamburini. Qui è nato
il mio amore per l'organo, come la conoscenza del Canto Gregoriano
che Pasut accompagnava all'organo con le edizioni ottocentesche della
Pustet di Ratisbona, mentre in parrocchia avevamo le edizioni
Marcello Capra di Torino.
Il maestro amava anche suonare sugli strumenti antichi, sui Callido
ben presenti in città: il loro mondo sonoro lo affascinava quanto la
polifonia locale eseguita “a cappella” con la trasparenza di
quelle sonorità, la prontezza e precisione della trasmissione
meccanica. Il confronto che faceva fra gli organi moderni di allora e
quelli antichi mi faceva venire in mente, alcuni anni dopo, quanto
Albert Schweitzer scriveva nella sua monografia bachiana a proposito
delle sue esperienze di esecutore: “...
riuscire a suonare una Fuga di Bach su strumenti sfuggiti alle
moderne riforme, è un piacere e una soddisfazione indescrivibili.
Solo allora si capisce quanto la sonorità dell'organo moderno
appesantisca le opere del maestro che diventano grevi e massicce
quasi fossero figure riprodotte a carboncino”. In anni successivi
potei constatarlo passando da un Cavaillè-Coll ad uno Schnitger.
In quel periodo per me di iniziazione alla musica strumentale, alla
polifonia vocale, al Gregoriano, all'organo ebbi modo di ascoltare
Pasut suonare in Trio con Bortolozzi al violino e Sama al violoncello
ed esserne lo spirito trainante. Allora per me, nella mia fantasia di
ragazzino, Pasut si collocava in una specie di dimensione mitica. Di
qui il mio stupore quando una volta lo scorsi a passeggio con la sua
fidanzata, che sarebbe poi diventata sua moglie, calato nella comune,
ordinaria dimensione umana.
Gli avvenimenti dell'ultimo periodo
di guerra interruppero il rapporto che riprese subito dopo la fine
della guerra, quando mi iscrissi al Manzato al corso medio di
pianoforte e lo ebbi come docente
di composizione. Intanto ricordo che il maestro mise insieme
un'orchestra d'archi da camera per l'esecuzione di autori italiani
del Settecento. In particolare però mi fece una profonda impressione
il Concerto in re minore per 2 violini e archi di Bach da lui
diretto; solisti erano Aldo Nardo e Mussato che poi andarono uno alla
Scala, l'altro in un'orchestra della
RAI.
Il maestro nell'insegnamento della composizione aveva introdotto una
radicale innovazione rispetto al programma seguito nei Conservatori.
Invece di cominciare con l'Armonia il maestro faceva compiere
all'allievo il cammino storico: si cominciava con il Contrappunto.
Per questo aveva istituito l'insegnamento del Canto Gregoriano
affidandolo a Don Arnaldo Ceccato. Ci impadronimmo così noi allievi,
dei vari Toni e ci esercitavamo anche nello scrivere Monodie in
questo o in quel Tono. Componevamo Contrappunti su Canti Fermi
dapprima seguendo l'antico Discanto medievale, poi anche muovendo la
linea contrappuntistica. Man mano che si procedeva nell'apprendimento
della polifonia, già fin dalle due voci, il maestro ci proponeva di
comporre con quel numero di voci anche esercizi di libera invenzione.
Ricordo di aver composto un Madrigale a 2 voci su versi del Petrarca
e poi, procedendo con il Contrappunto a 3 un Kyrie di polifonia
imitata, ma, arrivato al Christe, mi lasciai prendere la mano, forse
sotto l'influsso degli autori prediletti, passando alla polifonia
tardo barocca, di gusto ormai tonale. Pasut mi guardò come avessi
commesso un'eresia (lo era infatti) e con pochi interventi puntuali
riportò il brano dall'impianto tonale all'ambito modale in coerenza
con il Kyrie.
Arrivato al Contrappunto a 4, in vista dell'esame di VIII di
pianoforte dovevo preparare l'esame di Armonia complementare.
L'armonizzazione del Basso dato, data la preparazione
contrappuntistica, veniva realizzata non con semplici accordi, ma a
quattro parti reali, cercando nelle parti mediane anche qualche
spunto imitativo. Anche nelle modulazioni bisognava unire le varie
funzioni armoniche con figurazioni diversamente articolate. Accanto
alle esercitazioni che ci imponeva con assoluto rigore, cercava di
stimolare la capacità dell'allievo ad esprimersi con originalità in
brevi composizioni proponendogli ciò che gli fosse più congeniale,
se si rivolgeva più volentieri a forme strutturalmente ben definite
o se era attratto da forme più libere nella ricerca armonica o anche
timbrica; ci dava anche nozioni di strumentazione.
Mi propose allora le prime sette battute di un tema che io completai
in simmetria con altre sette e sul quale scrissi sei Variazioni con
una certa varietà stilistica, frutto delle analisi condotte su testi
classici e romantici e dei sapienti suggerimenti del maestro, che
spesso ascoltavo con ammirazione improvvisare al pianoforte, dal
rigore con cui trattava un tema svolgendolo in polifonia imitata o
proposte di un linguaggio armonicamente ardito con uno straordinario
possesso di queste tecniche. Ricordo di averlo sentito suonare tra
l'altro una Sonata di Clementi e la Polacca brillante di Chopin con
bravura.
Come Direttore della scuola assisteva alle prove dei Saggi e
interveniva con osservazioni puntuali: ricordo quando in un Notturno
di Chopin mi fece cominciare una veloce scaletta cromatica
discendente un attimo dopo l'accordo della sinistra, l'espressione fu
senz'altro migliore. Accettava però la discussione quando per
esempio eseguendo testi antichi ci pareva che eccedesse in ricerca
espressiva, mentre noi allievi preferivamo affrontarli con distacco
in una specie di venerazione per l'intoccabilità del testo. Nelle
prove in cui accompagnavamo un violino o un violoncello, da
eccellente camerista quale era (aveva suonato in Duo con violinisti
della statura di Luigi Ferro, Ciompi, Brengola e violoncellisti come
Crepax, Menegozzo) ci dava suggerimenti preziosi perchè il fraseggio
divenisse dialogante e si arrivasse ad un equilibrio delle sonorità.
All'inizio degli anni Sessanta mi chiamò ad insegnare Storia della
musica: ne apprezzai così ancor di più le doti di Direttore, le
capacità organizzative, la volontà di ampliare gli orizzonti dei
programmi di studio con varie iniziative. Ad esempio mi chiese di
tenere delle lezioni sulla storia dell'organo e della letteratura
organistica, mentre Anna Bergonzelli teneva un corso su Strawinskij;
la partecipazione era aperta a tutti.
In quel periodo il maestro Pasut
promosse il restauro del Tamburini del Duomo, strumento che gli
era particolarmente caro. Me ne parlò e mi fece vedere il progetto.
Per la verità ci trovammo su posizioni differenti riguardo a certi
interventi. Arrivò l'inaugurazione con Germani, Tagliavini che era
stato allievo di Pasut a Bologna, Esposito e poi il Ciclo quaresimale
di concerti che ci diede modo di ascoltare organisti italiani e
stranieri di valore. A proposito di Germani Pasut mi invitò insieme
con Giuseppe De Donà e Amedeo Aroma a cena la sera prima del
concerto di inaugurazione con il celebre maestro romano che avevo
conosciuto a Roma nel '48. Avevo da poco ascoltato sue incisioni
bachiane all'organo di Frans Caspar Schnitger nella chiesa di S.
Lorenzo a Alkmaar, che conoscevo già nelle incisioni di Helmut
Walcha e che ebbi modo poi di ascoltare direttamente, strumento tardo
barocco che ritengo fra i più splendidi del nord Europa. Ne parlai
con Germani aspettando che mi dicesse “mirabilia”; invece si
limitò a dirmi che l'aveva trovato scomodo per i comandi dei
registri e per il corista più alto di un semitono. Pasut vide la
faccia che facevo e temendo un mio intervento fu pronto a sviare il
discorso portandolo sul programma che Germani avrebbe eseguito
l'indomani. Qualche anno dopo ci trovammo assieme a far parte della
Commissione diocesana per gli organi. Pasut portò la sua lunga
esperienza di organista e la sua conoscenza degli organi antichi di
cui è ricco il nostro territorio. Poi ci si incontrava ai concerti e
ci si scambiava impressioni: le sue valutazioni erano generalmente
acute.
E poi gli ultimi incontri: il maestro immobile a letto, mi
riconosceva, il suo pensiero era sempre rivolto alla musica, lo
sentivo suggerire gli accordi per una cadenza, ma poi il discorso si
portava sul Manzato, una realtà che gli era stata sempre a cuore; mi
chiedeva di aggiornarlo anche se io ormai ne ero uscito, e allora si
ripensava ai tempi felici quando lui ne era alla direzione.
Non potrò mai dimenticare quanto abbia contribuito alla mia
formazione musicale.
Gianfranco Ferrara
25 maggio 2007
… in memoria del M° Bruno Pasut
di Gastone Zotto
In Bruno Pasut ho sempre ammirato o stile umano prima e ancor più che artistico. Egli seppe imporsi anzitutto come un uomo, anzi come un galantuomo, dal momento che egli stesso ha sempre dato la prima e massima importanza ai grandi valori del vivere umano. Nel reincontrarlo, la prima cosa che soleva chiedermi era “Come sta? come stanno le figlie? la moglie? tutto bene?”; e al mio rispondere “Bene, grazie” soleva aggiungere “La cosa più importante è questa, tutto il resto vien da sé”.
Sta qui la prima e più autentica fotografia del M° Pasut.
Egli sapeva essere anzitutto un artista della vita, conscio che proprio nel vivere e nel buon vivere sta nascosto il segreto di ogni cosa non solo vera e buona, ma anche di ogni cosa bella. Egli ci ha insegnato che l’arte è per l’uomo e non già l’uomo per l’arte. Proprio su questa dimensione profondamente umana l’arte musicale ritrova e crea il proprio più profondo spessore e il proprio più intimo significato.
Qui stava la chiave del suo illuminato gestire le numerose, delicate ed importanti funzioni pubbliche assunte dopo lunghi anni.
Per un insieme di circostanze, soprattutto a motivo della mia gioia e fortuna di succedergli sia nella carica di Direttore di Conservatorio a Castelfranco Veneto, sia in quella di Presidente dell’A.S.A.C.-Veneto, ho potuto incontestabilmente riconoscere in lui un insieme di doti ormai rare e preziose nel comune bagaglio umano: era un uomo assolutamente corretto nei rapporti con le persone; era buono e fiducioso nel suo sentirsi e nel suo rapportarsi con gli altri; era profondo nel suo pensare e nel suo vedere le cose; era acuto nel suo comprendere quanto accadeva d’intorno; era colto (molto colto!) sia dal punto di vista generale, sia da quello più direttamente musicale.
In ogni circostanza gli è riuscito a far della propria saggezza e della propria bontà l’arma più forte ed influente di comando. Infatti, egli era troppo raffinato per assumere qualsiasi atteggiamento di prepotenza o di cattiveria. Era convinto che per convincere e quindi per comandare avrebbe dovuto bastare la serietà delle argomentazioni, proprio di quelle argomentazioni che egli con la sua rara intelligenza riusciva splendidamente ad elaborare, raccogliere ed esprimere. Si noti come persino il suo esprimersi linguistico scritto o verbale risultasse sempre invidiabilmente appropriato, curato e forbito.
Come principio, egli preferiva subire la violenza, piuttosto che imporla. Credo, anzi, che fosse riposta in questa sua “apparente” debolezza la vera grandezza del suo comandare, la vera forza del suo presiedere, il vero peso della sua personalità nei confronti degli altri.
La sua innata e contenuta autorevolezza aborriva dalla prepotenza, valorizzava le doti dei subalterni, partiva dal concetto che le persone vanno stimate e che di loro ci si deve fidare sempre e comunque, fino a che esse non rivelino incontestabili prove contrarie. Questa maniera elegante e morbida di presiedere l’A.S.A.C. finiva per creare, anzi proprio per “provocare” nell’ambiente in cui egli governava, un clima di impagabile e reciproca serenità di fondo. Il rispetto crea rispetto, la fiducia crea fiducia, la stima crea stima, perché sempre vale l’antico adagio bonum est diffusivum sui (il bene è diffusivo di sé stesso).
Io stesso, quando gli sono succeduto come Presidente dell’A.S.A.C., me lo sono volutamente e dichiaratamente proposto come modello in questo senso. E qui lo dichiaro esplicitamente: anch’io sulle sue orme ho sempre pensato che per ben governare l’A.S.A.C. o un Conservatorio ci vuole certamente tanta cultura, tanta creatività compositiva, tanta inventiva progettuale, tanta contagiosa passione per la musica, tanto rigore organizzativo e perfino contabile, ma che ci vuole soprattutto tanto equilibrio e delicatezza interiore, tanto rispetto nei confronti dei propri associati e dei propri allievi, tanta “musicalità” nel trattare sé stessi e gli altri. Purtroppo questo pur nobile sistema di trattare non sempre funziona, soprattutto se rivolto a persone psicologicamente disturbate o intellettivamente limitate. Ed allora subentra il mugugno o la protesta inconcludente e contro produttiva di chi crede di capire tutto da solo, lasciando così agli altri la frustrante “soddisfazione” di capire il resto.
Il M° Bruno Pasut, in questo senso, fu davvero un grande, un grandissimo, un personaggio che mai dobbiamo dimenticare e che, a mio avviso, sempre dovremmo proporci a modello. Con questo non lo vogliamo dichiarare in questa sede né santo, né genio incompreso; vogliamo solo additarlo come esemplare raro di correttezza governativa e di intelligenza direttiva. Oggi, risulta sempre più raro e difficile ritrovare personalità ben forgiate e complete come la sua.
Il bello sta nel fatto che il M° Pasut fu un vero grande in questo senso, forse senza nemmeno accorgersene. Sì, perché egli in fondo era molto riservato e timido, cioè pregevolmente consapevole o convinto dei propri limiti.
Egli in tutta la sua vita ha amato e perseguito l’arte musicale, quella vera, quella che si fonda sulla qualità, non già sull’esibizione o sul dilettantismo. Sta qui il segreto della sua spinta allo sviluppo della coralità veneta. L’Arte, anche quella corale – dal maestro direttore all’ultimo corista – nasce sempre e solo dalla fatica costruttiva, dalla conoscenza dei grandi musicisti della storia e dalla competenza personale faticosamente e costantemente perseguita.
Bruno Pasut ha seminato il miglior seme dell’educazione e dello sviluppo musicale sia nel mondo dei Conservatori, che egregiamente seppe dirigere, sia nel mondo dell’A.S.A.C., e cioè della coralità veneta, di cui fu per molti anni grande Presidente.
Mi auguro che ambedue questi mondi, come segno del miglior rimpianto, sappiano in futuro riconoscere, cogliere e condurre a maturazione il grande valore di questo seme da lui così discretamente e accuratamente deposto all’interno di essi.
Ecco in sintesi i suoi messaggi di fondo: il buon vivere è già in sé stesso il primo e più ambito prodotto artistico del musicista; il buon vivere e il buon convivere sono già in sé stessi musica e partitura della miglior qualità; l’Arte, quella vera, nasce sempre dalla competenza e dalla fatica costruttiva.
Per me, il M° Pasut fu sempre un esempio straordinario di umanità e di competenza da imitare. Era un uomo colto, integro, rispettoso e sempre gentile con tutti: sotto questi aspetti, un vero esempio per tutti noi.
Volutamente, in questa sede, non intendo soffermarmi sull’analisi delle sue doti più strettamente musicali sia nel campo compositivo, sia in quello di direttore di coro. In ogni caso, sul merito, basti osservare come le ragguardevoli tappe professionali e le riconosciute affermazioni artistiche da lui raggiunte durante l’arco di tutta la sua lunga vita lo testimonino e lo provino abbondantemente.
Per questa sera ci basta evidenziare il rimpianto della sua innata signorilità, il ricordo della sua indiscutibile competenza professionale e della sua innata eleganza e delicatezza nel presiedere un’impegnativa associazione come l’A.S.A.C. e nel dirigere un impegnativo Istituto di Alta Cultura come il Conservatorio.
Gastone Zotto
Presidente Emerito dell’A.S.A.C.-Veneto
Direttore Emerito di alcuni Conservatori
(Treviso, 25 maggio 2007) |